Articolo di Pietro Andrea Annicelli (Cronachemartinesi.it) del 26 aprile 2015
Luciano Violante, Presidente emerito della Camera dei Deputati, è tornato a Martina Franca due giorni fa per una relazione a un incontro del Rotary Club sul tema Una società con troppi diritti e nessun dovere?(nella foto di Pino Fumarola-Rotary Club, da sinistra: Rocco Giuliani, socio fondatore, past president e governatore, l’assessore alla Cultura Antonio Scialpi, Luciano Violante con l’attuale presidente del club, Paolo Vinci).
Lei ha parlato a Martina Franca di etica dei doveri. Cosa significa rispetto al momento attuale?
«L’esercizio dei diritti è strettamente legato all’esercizio dei doveri. La crisi dei partiti c’è perché è venuta meno la comunità politica. Senza l’equilibrio tra diritti e doveri, assistiamo allo sfaldamento della democrazia, perché la Costituzione parla di diritti e di doveri insieme. I doveri senza diritti producono un meccanismo autoritario, mentre i diritti senza doveri sfasciano la società. Il silenzio dei cittadini ha in questi anni indebolito la politica, perché un sistema dove i cittadini sono spettatori rischia, alla lunga, di divenire un sistema autoritario. Occorre riconoscere che la democrazia è un esercizio difficile e che la mancata partecipazione dei cittadini porta alla sua crisi».
Quale valore dare al 25 aprile, sul quale ancora oggi si registrano delle opinioni talvolta divergenti?
«Il 25 aprile è una festa dell’Italia, quindi non d’italiani contro altri italiani. La Liberazione ebbe come protagoniste le forze partigiane. Da quella lotta nacquero la Repubblica e la Costituzione: non è successo in nessun altro Paese europeo. Questo è il valore della ricorrenza. La lotta partigiana consentì a De Gasperi di ottenere al tavolo delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale delle condizioni migliori della Germania, perché gli italiani non si erano comportati come i tedeschi».
Non crede che questo senso di riconquista della libertà vada rielaborato politicamente a livello europeo?
«Non si deve dimenticare che l’unità europea nasce dalla volontà dell’Italia, della Francia e della Germania affinché fossero superate nel futuro le divisioni che avevano determinato la seconda guerra mondiale. L’unità europea scaturisce quindi da uno sforzo specificamente politico per trovare un luogo dove incominciare a costruire un percorso comune. Poi, nel tempo, l’idea originaria si è raffreddata e sono state intraprese delle scelte che hanno portato a una visione contabile non democratica, ma economica».
Ritornando al 25 aprile, cosa rimane di quella volontà di reciproco riconoscimento tra italiani divisi dalla guerra alla quale lei, da Presidente della Camera, volle dare impulso (nel discorso d’insediamento del 10 maggio 1996, ndr)?
«Ho sempre pensato che la politica debba fare lo sforzo necessario a capire le ragioni degli altri. Molte volte la storia d’Italia è rappresentata da segmenti dove la violenza ha incrociato i tentativi di riscatto della libertà. Perciò ho cercato di ricostruire il filo logico che portò, durante la guerra, tanti ragazzi italiani a fare la scelta, senza speranza, di combattere per la Repubblica di Salò, e ho affrontato il senso delle loro ragioni. Molti, poi, hanno cercato di attribuirmi delle affermazioni, ad esempio una sorta di parificazione tra i due campi in conflitto, che non ho mai fatto. Quando ho cercato di capire le ragioni dei ragazzi di Salò, dissi: senza revisionismi falsificanti. Lo ritengo ancora valido».